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Biografia di

 

  • Dalai Lama
  •  

    "Se pensi di essere troppo piccolo per fare la differenza, prova a dormire con una zanzara."
    "Tieni sempre conto del fatto che un grande amore e dei grandi risultati comportano un grande rischio."

    "Quando perdi, non perdere la lezione."

    Dalai Lama

    I suoi libri

     

    Tenzin Gyatso nato Lhamo Dondrub (Taktser, 6 luglio 1935) è un monaco buddhista tibetano, nonché XIV Dalai Lama del Tibet.

    Scritti del Dalai Lama
    Tra le molte opere di Tenzin Gyatso, ricordiamo le seguenti:

    Scritti biografici
    • "La libertà nell'esilio"
    • "La mia terra, la mia gente"

    Scritti sul buddhismo
    • "Samsara";
    • "La via dell'amore";
    • "La via del buddhismo tibetano";
    • "La via della liberazione";
    • "Incontro con Gesù";
    • "L'arte della felicità" (collaborazione e libro-intervista a cura dello psichiatra americano
      Howard C. Cutler);
    • "Il sutra del cuore";
    • "I consigli del cuore";
    • "Lezioni italiane";
    "Che cosa è il Buddhismo" (in collaborazione con Thubten Chodron).

    I primi anni e il riconoscimento
    Lhamo Dondrub, ossia «Dea che esaudisce i desideri» in tibetano, nacque in una povera e numerosa famiglia di agricoltori a Taktser, un minuscolo e isolato villaggio lungo il confine con la Cina, nella regione Amdo, nel nordest del Tibet.
    Nel periodo in cui venne al mondo, il giovane V Reting Rinpoce, celebre lama reincarnato scelto come Reggente del governo del Tibet, era impegnato da tempo nelle ricerche della reincarnazione del XIII Dalai Lama, morto nel 1933 e passato alla storia come Grande Tredicesimo.
    A questo scopo, secondo le antiche tradizioni tibetane, visitò in compagnia dei suoi principali dignitari il Lhamo Latso, lago considerato sacro dai tibetani poiché in grado di fornire ai più esperti e saggi meditatori visioni e immagini molto precise.
    Fino ad allora l'unico indizio a sua disposizione era la direzione verso cui si era voltato lo sguardo del cadavere del Grande Tredicesimo prima dell'imbalsamazione rituale, ossia il nordest.
    Durante il ritiro, Reting Rinpoce identificò tra le acque tre lettere dell'alfabeto tibetano, seguite da un monastero con un tetto verde giada e oro, e infine da una casa con tegole turchese.
    A questo punto scelse alcuni eminenti ghesce e lama e li mise a capo di gruppi di monaci che mandò nel nordest alla ricerca degli elementi identificati, ordinando loro di mantenere il più assoluto riserbo circa la visione manifestatasi al Lhamo Latso, e, più in generale, sugli sviluppi delle ricerche fino al ritrovamento della reincarnazione.
    Nel 1937, un gruppo di monaci Sera guidato da Kewtsang Rinpoce, che poco prima aveva consultato il Nechung, l'oracolo di Stato, raggiunse Taktser, dove si trovava il monastero dal tetto verde giada e oro, e la casa del piccolo Lhamo, dalle tegole turchese: le tre lettere, come dedusse, equivalevano alle iniziali del villaggio, del monastero e della regione di Amdo.
    Mantenendo segreta la propria identità, i monaci chiesero ospitalità alla casa del bambino piccolo, dove Kewtsang Rinpoce, travestito da servo, lo esaminò ottenendo la conferma che si trattava effettivamente della reincarnazione del XIII Dalai Lama.
    Poiché in quel tempo l'Amdo era sotto il controllo di Ma Lin, signore della guerra alleato con il cinese Chiang Kai-shek e governatore della provincia per ordine del Guomindang, il governo tibetano gli pagò un abbondante riscatto per permettere al fanciullo di raggiungere la capitale, Lhasa.

    Nomina a Dalai Lama ed educazione
    Nel 1939, una volta condotto al Potala, residenza dei Dalai Lama e cuore del governo e della religione e del Tibet, il bambino fu intronizzato come XIV Dalai Lama nel corso di una solenne cerimonia in cui fu ribattezzato Jetsun Jamphel Ngawang Lobsang Yeshe Tenzin Gyatso, ovvero «Sacro Signore, Gloria gentile, Compassionevole, Difensore della fede, Oceano di saggezza».
    Da allora i tibetani si riferiscono a lui come Yeshe Norbu, ovvero «Gemma che realizza i desideri», o semplicemente Kundun, «la Presenza». Ad appena sei anni di età, mentre alla sua famiglia veniva concesso un titolo nobiliare con tanto di una sostanziosa proprietà fondiaria, in tono con le antiche tradizioni riguardanti i lama reincarnati, il nuovo Dalai Lama cominciava la propria educazione monastica e politica in vista dell'assunzione dei pieni poteri come massima autorità politica e religiosa alla maggiore età.
    In questo stesso periodo, mentre si divideva tra gli studi, i giochi e le riunioni di famiglia, il Tibet suscitò nuovamente l'interesse da parte della Cina, mentre il Reggente Reting Rinpoce divenne una figura molto controversa, accusato di essere tra i principali responsabili della corruzione nel governo e della trascuratezza della disciplina morale da parte dei monaci.
    Discepolo di lama grandemente eruditi quali il VI Ling Rinpoce, il XVII Trijang Rinpoce, e del III Taktra Rinpoce, il XIV Dalai Lama studiò con diligenza dando prova di grande intelligenza e capacità, e dimostrando notevole abilità nel dibattito.
    Tenuto rigorosamente isolato dal resto del mondo nelle mille stanze del Potala, maturò un certo interesse per l'Occidente e la modernità tramite i suoi incontri con l'alpinista austriaco Heinrich Harrer, che divenne suo buon amico e precettore.

    L'invasione da parte della Cina
    La quiete d'infanzia del giovane Dalai Lama e l'isolamento del Tibet s'interruppero rapidamente nel 1950, quando le truppe della neonata Repubblica Popolare Cinese attraversarono il confine nordorientale, incorporandone i territori nel proprio dominio.
    In seguito alle forti proteste del popolo, che accusava il governo e i vari Reggenti di corruzione, e al responso dell'Oracolo Nechung, il XIV Dalai Lama assunse appena quindicenne i pieni poteri governativi il 17 novembre, affinché il Paese potesse fronteggiare le pretese di annessione avanzate dalla propaganda del Presidente Mao, secondo cui era doveroso «riunire alla madrepatria tale regione occidentale della Cina».
    Per tutelarsi dalle ritorsioni cinesi, subito dopo la cerimonia il Dalai Lama si trasferì con i più alti dignitari al Monastero di Dunkhar, lungo il confine con l'India.
    Ivi, ben protetto e isolato, studiò con pazienza la migliore risposta all'invasione straniera fino al giorno in cui gli fu presentato dal suo insegnante Trijang Rinpoche un anziano monaco residente noto per essere il medium dell'oracolo di Dorje Shugden, una controversa entità spirituale dallo sconfinato potere.
    Durante la sua trance, l'oracolo diede risposte molto precise, tanto da suscitare l'attenzione del giovane Dalai Lama, che, all'oscuro delle origini storiche del culto e della posizione nettamente ostile assunta dai suoi predecessori, si accostò definitivamente al culto, ricevendo l'iniziazione e facendo inserire Dorje Shugden tra le divinità venerate a livello nazionale.
    Fu così che in gran parte del Tibet apparvero statue e thangka dello spirito dalla forma terrifica, armato di spada su di uno sfondo fatto di fuoco o oceani di sangue, e si tennero ripetute e sfarzose cerimonie atte a richiederne servigi immediati, potere e ricchezza. Il suo oracolo divenne il secondo dopo Nechung.
    Poiché i funzionari del Partito Comunista di Cina e i soldati diedero luogo alle prime brutalità a danno dei monaci, dei latifondisti e persino degli agricoltori, nel 1954 il XIV Dalai Lama partì alla volta di Pechino con il X Panchen Lama e i principali dignitari del governo con l'intento di negoziare con Mao, Zhou Enlai e Deng Xiaoping una soluzione accettabile per entrambe le parti.
    Il suo soggiorno in Cina durò due anni, durante i quali visitò molte province della nazione e partecipò a varie conferenze del Partito, ma gli incontri non ebbero successo. Rientrato in Tibet nel 1956, fece del suo meglio per frenare le prepotenze dei funzionari cinesi, e nel 1959, durante la festa di Monlam, affrontò al Tempio di Jokhan l'esame finale dei suoi studi religiosi, superandolo con onore e ricevendo il titolo di Ghesce Lharampa, la qualifica più alta, ottenuta prima di lui soltanto dal Grande Tredicesimo.

    L'esilio in India
    Il 10 marzo 1959, il movimento di resistenza tibetano, nato nel Kham è ormai esteso a tutto il Paese, scatenò una grande sollevazione a Lhasa, che fu duramente repressa dall' Esercito Popolare di Liberazione: migliaia di uomini, donne e bambini vennero massacrati nelle strade della capitale e in altri luoghi.
    Convinto di dover rendere pubblica la grave situazione in cui versava il suo Paese e di dover ottenere il sostegno della comunità internazionale, il Dalai Lama fuggì dal Tibet la notte del successivo 17 marzo, giungendo in India esattamente due settimane dopo.
    Sostenuto da Nehru, primo capo di governo dell'India autonoma, prese residenza a Dharamsala con un seguito di centoventimila tibetani, e formò un governo in esilio, divenendo così il primo Dalai Lama costretto a vivere a tempo indefinito al di fuori del Tibet.
    Molto attivo a vantaggio dei rifugiati politici tibetani che ogni anno sfuggono in massa alle persecuzioni della Repubblica Popolare Cinese, procurando tutto ciò che occorre loro per vivere, il Dalai Lama avviò una lotta basata sulla nonviolenza e la disobbedienza civile sull'esempio del Mahatma Gandhi, di cui si definisce tuttora un grandissimo ammiratore.
    egli anni settanta, ancora intrigato dai racconti di Harrer al Potala, visitò per la prima volta l'Occidente, impegnandosi nella divulgazione a livello internazionale del dramma del suo popolo sotto il dominio cinese. Insieme ad altri lama e ghesce, condivise così i princìpi della tradizione del Dharma del Tibet con gli occidentali, contribuendo alla fondazione di monasteri e centri di pratica e studio. Imparò altresì l'inglese, e ottenne presto la simpatia delle nazioni occidentali per la sua battaglia in favore dei tibetani.
    Molte celebrità di Hollywood, in particolare Richard Gere, Harrison Ford, Barbra Streisand, Steven Seagal, Goldie Hawn e Meg Ryan, lo sostengono tuttora pubblicamente.
    Tuttavia, ormai da anni, il Dalai Lama è regolarmente denunciato dal governo cinese come un pericoloso secessionista desideroso di provocare il disfacimento dell'unità nazionale cinese.
    Ciononostante, egli ha sempre sostenuto di desiderare l'autonomia interna della cosiddetta Regione Autonoma del Tibet, lasciando la gestione della difesa e degli affari esteri alla Cina, come già avviene per Paesi come il Principato di Monaco e quello del Liechtenstein. Anche se non in modo continuato, ci sono stati colloqui fra il governo tibetano in esilio e la Cina, ma mentre il primo desidera soprattutto discutere dello stato del Tibet all'interno della Cina, l'altra vuole limitare gli accordi alle condizioni del ritorno del Dalai Lama a Lhasa.

    Il divieto del culto di Dorje Shugden
    Negli anni settanta, il Dalai Lama ebbe frequenti sogni infausti su Dorje Shugden, al cui culto era stato introdotto dal XVII Trijang Rinpoce, presto supportati concretamente da presagi inquietanti, premonizioni e profezie che anticipavano gravi sciagure.
    Dopo una serie di importanti discussioni e riflessioni con i più elevati lama e ghesce a disposizione, avallate dal responso di Nechung, nel 1975 mise definitivamente al bando la pratica di Dorje Shugden, proclamandola fondamentalista e al centro di una forte connotazione confessionale, causa primaria di un intenso clima di disturbi settari in varie parti del Tibet e nella comunità tibetana in esilio.
    In tono con il parere di gran parte dei suoi tutori e dignitari, oltre che dell'Oracolo di Stato, da quel momento in poi Dorje Shugden fu considerato un demone dal terribile potere mondano.
    Dopo serie indagini storiche e storiografiche, aggiunse poi di aver sbagliato a non seguire l'esempio dei suoi predecessori, e che la devozione a tale demone aveva portato conseguenze profondamente infauste al Tibet e a tutti i tibetani.
    I seguaci dello spirito risposero dicendosi convinti che i problemi del Tibet fossero dovuti a una degenerazione spirituale provocata dalle aperture dei passati Dalai Lama a tutte le scuole del Buddhismo tibetano e al mondo esterno, e che Dorje Shugden fosse il solo rimedio contro ogni male.
    I tutori e dignitari che invece non erano legati al culto sostenevano che Shugden fosse per natura in contrasto con le divinità tradizionali del Tibet.
    Si disse peraltro che fosse stato proprio l'Oracolo di Dorje Shugden a consigliare il sentiero di fuga al giovane sovrano poco prima che avvenisse l'attacco militare al Norbulingka di Lhasa, dato che per lungo tempo il potente Nechung aveva perduto il tradizionale potere, ma la voce non fu mai confermata.
    Contro il proclama di Dharamsala si levò prontamente la replica della Cina, secondo cui tale proibizione rappresentava una grave violazione dei diritti umani riconosciuta in patria, e che recava danno ai lama e ghesce tradizionalmente legati al culto.
    Seguì una forte controversia, animata da Zemey Rinpoche, discepolo di Trijang Rinpoche, che pubblicò il «Libro giallo», un resoconto di svariate disgrazie accadute a monaci e laici Gelug che irritarono Dorje Shugden mescolando insegnamenti Gelug con le tradizioni Nyingmapa o di altra natura.
    Il XIV Dalai Lama condannò la pubblicazione e ribadì la sua politica di diniego, sostenendo che la pratica di Dorje Shugden avrebbe presto comportato la degenerazione del Buddismo tibetano fino a renderla un semplice culto di uno spirito, negando la possibilità di indagine filosofica e analisi critica da sempre contemplate in Tibet, oltre che la possibilità di instaurare una coesione di tutte le scuole buddhiste nate in Tibet.
    Dato il legame riconosciuto tra il culto di Dorje Shugden e il settarismo, vi era altresì il rischio che la Cina se ne servisse per dividere i tibetani.
    Non tutti rispettarono il precetto del Dalai Lama. L'opposizione si concentrò intorno a lama Gangchen, residente in Italia e a capo di una scuola improntata sull' autoguarigione tantrica, famoso per i suoi legami con le cinesi, e a ghesce Kelsang Gyatso, residente dell'Istituto Manjusri di Londra, ala britannica della Fondazione per la Preservazione della Tradizione Mahayana fondata da lama Yeshe da cui si staccò all'invito di rinunciare al culto, con il sostegno dalla maggioranza dei frequentatori britannici dell'Istituto.

    Gli svariati tentativi di mediazione tra lama Yeshe e ghesce Kelsang Gyatso fallirono, e lo stesso ghesce Kelsang Gyatso fondò nel 1991 la New Kadampa Tradition, che si espanse rapidamente in tutto il mondo e si rese nota per le sue campagne in occasione delle visite in Gran Bretagna e negli Stati Uniti d'America del XIV Dalai Lama, spesso accolto da dimostranti convinti che il divieto del culto di Dorje Shugden fosse una sostanziale violazione della loro libertà religiosa. Il Dalai Lama confermò la propria posizione contraria al culto, e fece sapere che se i suoi consigli non fossero stati ascoltati avrebbe negato a coloro che fossero rimasti legati a Dorje Shugden la possibilità presenziare ai suoi insegnamenti, che tradizionalmente richiedono l'instaurazione di un rapporto tra maestro e discepolo.
    La controversia Dorje Shugden è stata risolta con un sondaggio presso il monastero di Gaden a Mundgod nel Karnataka, i monaci fedeli al culto sono stati autorizzati alla fondazione di un nuovo monastero dal nome Shar Gaden.

    Il Premio Nobel per la pace
    Il Dalai Lama è un convinto assertore della nonviolenza e della pace fra tutte le creature.
    In ragione di ciò sostiene anche il rispetto per gli animali.
    Il 10 dicembre 1989 ricevette il Premio Nobel per la pace per il fatto che nella sua lotta per la liberazione del Tibet ha sempre e coerentemente rifiutato l'uso della violenza, preferendo ricercare soluzioni pacifiche basate sulla tolleranza e il rispetto reciproco. Egli ha sviluppato la propria filosofia di pace a partire da un rispetto per tutto ciò che è vivo, basandosi sul concetto della responsabilità universale.
    Egli ha avanzato proposte costruttive per la soluzione dei conflitti internazionali, e per affrontare il problema dei diritti umani e le questioni ambientali globali.
    Alla cerimonia di consegna del prestigioso riconoscimento, lo stesso Dalai Lama dichiarò: «Mi considero solo un semplice monaco buddhista. Niente di più, niente di meno.
    Quello che è importante non sono io, ma il popolo tibetano.
    Questo premio rappresenta un incoraggiamento per i sei milioni di abitanti del Tibet che da oltre quarant'anni stanno vivendo il più doloroso periodo della propria storia.
    Nonostante ciò la determinazione della gente, il suo legame con i valori spirituali e la pratica della non violenza rimangono inalterati. Il premio Nobel è un riconoscimento alla fede e alla perseveranza del popolo tibetano».
    Questo fatto provocò accese proteste da parte del governo cinese.
    Nella prima metà del dicembre 2007 compì un viaggio in Italia, durante il quale Papa Benedetto XVI e il Primo ministro Romano Prodi non lo ricevettero per paura di aprire un incidente diplomatico con Pechino.
    Il Dalai Lama fu comunque ricevuto dal Presidente della Camera, Fausto Bertinotti, da esponenti del clero cattolico e di altre religioni, e insignito della cittadinanza onoraria di Torino, a cui seguirà nel 2009 il conferimento della cittadinanza onoraria di Roma.
    Va comunque considerato che già altre Amministrazioni pubbliche si sono mosse precedentemente e tra esse il Comune di Livorno che dal 1994, dopo una petizione promossa dalla locale Associazione per la Pace, ha conferito la Cittadinanza onoraria al Dalai Lama con la Delibera di Consiglio Comunale n. 167 del 10/10/1994.
    Nel 2012 anche il comune di Matera con delibera all'unanimità, gli conferisce la cittadinanza onoraria.
    All'indomani del 2 maggio 2011, giorno dell'uccisione di Osama bin Laden, capo dell'organizzazione terroristica di al-Qaida, nel corso di una conferenza stampa nel New Jersey ha dichiarato il proprio rammarico:
    «Mi sento un po' triste per l'uccisione di Osama bin Laden. Penso che non sia giusto, è come quando fu impiccato Hussein. Anche lì mi sono sentito molto triste».
    Impegnato da anni in un'opera di democratizzazione della politica tibetana, al punto da varare una costituzione di ispirazione europea e statunitense, nel novembre 2010 dichiarò di volersi ritirare dall'attività politica entro sei mesi, e di prendere in considerazione l'idea di scegliere il proprio successore al titolo di Dalai Lama, suscitando in particolare un'aspra polemica da parte del Ministero degli esteri cinese, secondo cui si tratterebbe di un'azione del tutto illegale, perché quello di Dalai Lama sarebbe «un titolo conferito dal governo di Pechino, soggetto interamente al diritto cinese».
    L'11 marzo 2011 si dimise da capo del governo tibetano in esilio, in favore di un successore eletto dal Parlamento esule, e poco dopo, nel gennaio 2012, i servizi segreti indiani resero nota la possibilità di un attentato ai suoi danni, per mezzo di un certo Tashi Phuntsok, cinese di discendenza tibetana accompagnato da altri cinque connazionali.
    In tempi recenti ha annunciato che nell'ultimo periodo della sua vita intende ritirarsi al Monastero di Tabo, il più importante del Buddhismo tibetano fuori del Tibet, mentre in occasione del suo viaggio in Italia tra il mese di maggio e giugno del 2012 ha reso noto di voler nominare khenpo del monastero di Dharamsala il XIII Thamthog Rinpoce, lama amico attualmente rettore dell'istituto Ghe Pel Ling di Milano.

    Critiche
    La figura del Dalai Lama è assorta positivamente a livello popolare proprio grazie al carisma di Gyatso (i predecessori non sono minimamente conosciuti e non sembrano destare interesse) e al modo con cui ha saputo farsi amare dai mass media occidentali, in particolar modo quelli statunitensi.
    Ha destato scandalo e perplessità la sua posizione riguardo alla guerra in Iraq, affermando che la violenza in Medio Oriente, se per buoni fini, è giustificata con "Si vedrà fra un paio di anni", continuando dicendo che George W. Bush è un suo "carissimo amico".
    Il Dalai Lama è stato fortemente criticato per questa posizione filo-americana, in quanto gli Stati Uniti d'America offrono protezione al Tibet e mostrano grande simpatia nei suoi confronti; di conseguenza Tenzin Gyatso non ha voluto andare contro le scelte di guerra del proprio "protettore".
    La sua posizione è stata inoltre criticata in luce alle sue continue manifestazioni verso il governo cinese, ritenuto meno violento di quello statunitense nei confronti dei civili arabi.
    Il noto attivismo non-violento del Dalai Lama ha fatto sì che l'intera zona del Tibet fosse vista come una regione pacifica, mentre il Tibet è storicamente stato protagonista di molteplici guerre e quando a Gyatso fu chiesto cosa pensasse di interventi armati e violenti riguardo alla propria regione, lui rispose: "8 milioni di tibetani, 1 miliardo di cinesi!"; il Tibet è infatti diventato pacifico per ragioni strettamente economiche e non spirituali.
    Tenzin Gyatso è stato inoltre criticato per preoccuparsi maggiormente per i tibetani in esilio piuttosto che per i tibetani che sono rimasti in Cina, privi di qualsiasi tutela, e per il voler essere figura internazionale, che ha fatto sì che il buddhismo tibetano ne venisse appiattito e reso incolore, privato della propria unicità, in favore di un universalismo per le figure new age occidentali. Le critiche si sono anche allargate alle sue idee su omosessualità, aborto e l'indipendenza del Kashmir.
    Dalai Lama fu spesso criticato dai giornali a causa della sua apertura verso la civiltà moderna.

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